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Giovedì 25 aprile 2024

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Ultimi giorni per vedere le opere di Enzo Bersezio a Mondovì

Personale di Enzo Bersezio “Il tempo, l’opera”, allestita nell’Antico Palazzo di Città, in via Giolitti 1

La Guida - Ultimi giorni per vedere le opere di Enzo Bersezio a Mondovì

Mondovì – Ultimi giorni per visitare la mostra personale di Enzo Bersezio “Il tempo, l’opera”, allestita nell’Antico Palazzo di Città, in via Giolitti 1 a Mondovì. La mostra che fa parte della rassegna grandArte 2022 Help – humanity, ecology, liberty, politics è visitabile fino al 25 aprile, venerdì, sabato e domenica dalle 16 alle 19, con ingresso libero, nel rispetto della normativa anti Covid.

“I suoi legni, le sue strutture svettanti, i suoi strati di carte e numeri, i suoi tenui colori, il suo bianco non bianco, le sue corde nautiche, i suoi grigi metalli sono lì, davanti a noi e, da semplici e poveri materiali divengono elementi della nostra storia atavica – spiega Marcello Corazzini, che ha curato la mostra insieme a Fulvia Giacosa -, ci riportano a tempi immemorabili, a storie di viaggi in terre sconosciute ma al contempo note, assurgono a strutture sciamaniche, a protezione del nostro più intimo essere, in una continua contrapposizione tra antico e contemporaneo, tra moderno ed arcaico”.

Formatosi all’Accademia Albertina, Bersezio comincia ad esporre a fine anni Sessanta nella Torino dell’Arte Povera, iniziale ambito di riferimento per l’artista insieme alle correnti minimaliste e concettuali rilette in chiave antropologica e alla nuova facies della scultura internazionale che predilige l’installazione correlata all’ambiente, si serve di materiali poveri e forme essenziali (in Bersezio archetipiche, mitiche o arcaiche). “Pazienza, sperimentazione creativa e una lenta lavorazione artigianale sono il suo modus operandi – aggiunge Fulvia Giacosa -: carte e legni sono scrutati nelle trame, increspature e rughe della loro epidermide; l’amore per la materia lo trattiene da qualsiasi intervento violento: le carte accolgono numeri, lettere, frasi, simboli, i fogli si stratificano uno sull’altro sfruttandone trasparenza e sottigliezza; il chiarore diafano dei legni conferisce loro una lievità inaspettata come se le azioni dell’artista (levigare, intagliare, sbiancare) trasformasse la consistenza iletica in rarefatta sostanza, incanutita da un viaggio tra terra, mare, epoche; singoli o assemblati nello spazio, a volte appoggiati a parete, ospitano spaghi naturali o colorati, cordicelle nautiche, cilindri scrittori, intrecci di lana, “ricami”, oltre a contrappesi strutturanti che risolvono la contesa tra forma e forza; essi diventano supporto per tracce di senso rivelatrici del confine tra preistoria ritrovata e attualità del vissuto, quel confine che Antoni Tàpies aveva inverato nei “muri” che – scriveva nel 1969 – conservano la loro realtà senza nulla perdere della loro carica archetipa e simbolica. Anche la scelta del verticale è aspirazione a cogliere l’infinito irrappresentabile come dimostra l’onnipresenza dei numeri primi”.

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