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Mercoledì 24 aprile 2024

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Solo intervenendo nei corsi d’acqua si potrà “ballare sotto la pioggia”

Nella parte alta dei bacini i corsi d’acqua non possono avere casse di espansione per evidenti motivi orografici e quindi devono necessariamente essere regimati

La Guida - Solo intervenendo nei corsi d’acqua si potrà “ballare sotto la pioggia”

La vita non è aspettare che passi la tempesta… ma imparare a ballare sotto la pioggia; questa frase, attribuita a Gandhi, potrebbe sintetizzare l’approccio migliore per fronteggiare i fenomeni atmosferici che in modo sempre più frequente ed aggressivo occupano gli spazi delle cronache.
Sono ancora ben vivi e resteranno di attualità – purtroppo –  ancora per molto tempo gli effetti devastanti della tempesta Alex dello scorso mese di ottobre. In quell’occasione la quantità di pioggia caduta in poche ore è stata enorme (a Limone – Pancani ne sono stati misurati 515 mm in 12 ore). Purtroppo i fenomeni “estremi” sono destinati probabilmente a ripetersi, anche per effetto degli ormai innegabili cambiamenti climatici.  Sin da ottobre si sta lavorando nelle diverse valli colpite dall’ultima alluvione, ma per ora – per forza di cose – gli interventi si sono limitati a ripristinare la situazione antecedente al disastro o poco più. Sarebbe invece necessario poter programmare attività di più ampio respiro, che consentano un reale aumento della sicurezza idrogeologica per i territori alpini.
Paradossalmente il dramma della pandemia che da un anno ci affligge potrebbe rappresentare uno spiraglio positivo. Mi spiego meglio: i denari che, si spera presto, saranno resi disponibili per la ripresa dell’economia potrebbero – in parte – essere destinati proprio alla cura del territorio montano.  Il detto “prevenire è meglio che curare” in questo caso è quanto mai appropriato; ogni volta che si verifica un’alluvione il conto, sommando opere pubbliche e danni per i privati, raggiunge molti milioni di euro per ogni Comune colpito, oltre ai costi altrettanto onerosi per le operazioni di soccorso, senza contare il rischio per la vita umana, sia delle popolazioni interessate dagli eventi che dei soccorritori. E poi quasi sempre – come in un triste déjà vu – negli anni successivi il costo degli interventi di ripristino assorbe le risorse ordinarie, rendendo impossibile la programmazione di opere di sistemazione delle aste fluviali e dei valloni laterali.
Il grande programma Europeo di “Recovery fund” consentirebbe invece una sostanziale e positiva inversione di rotta! Leggere i presupposti su cui si basano i fondi europei è musica per le orecchie di chi ama il nostro territorio montano: …infrastrutture sostenibili, …transizione verde, …accelerazione verso la neutralità climatica, …supporto alle aree rurali in accordo con il green deal.
Il dopo-Coronavirus, sperando che arrivi presto, sarà assai simile al periodo del dopoguerra; in effetti in quegli anni ci fu una saggia e lungimirante programmazione di interventi per i territori montani (in attuazione dell’art. 44 della neonata Costituzione, che non a caso dedicava una particolare attenzione alle zone montane); la Legge Fanfani del 1952 sulla montagna – la prima dell’era repubblicana – aveva sostanzialmente, pur senza usare anglicismi, gli stessi obiettivi dell’attuale Recovery fund. In realtà Fanfani aveva in mente di utilizzare al meglio i fondi del Piano Marshall, che – guarda caso – si chiamava “European recovery program”. La storia si ripete…
Grazie a quella legge ci fu un fermento di interventi nelle nostre valli e nelle aree rurali più povere (comprese le Langhe, che iniziarono allora il loro riscatto…): sistemazioni idrauliche, strade, acquedotti rurali, rimboschimenti.
Per non sprecare questa occasione, forse irripetibile, dovranno però verificarsi alcune condizioni secondo me imprescindibili. Anzitutto sarà necessaria la consapevolezza della gravità del problema e la conseguente volontà di modificare le regole di ingaggio: si dovrà dare uno stop deciso alla cementificazione del territorio e i piani regolatori dovranno tenere conto dei fenomeni climatici estremi degli ultimi anni. Quando i fiumi sfociano in pianura, dove la pendenza dell’alveo e la velocità dell’acqua diminuiscono, devono avere degli spazi in cui espandersi in caso di piena improvvisa (e le piene saranno sempre più forti ed incontenibili con gli attuali regimi di precipitazione…) e ciò determina servitù urbanistiche di cui si dovrà tener conto.  Nella parte alta dei bacini (vedi Limone, Tenda, Ormea, ecc.) i corsi d’acqua non possono avere casse di espansione per evidenti motivi orografici e quindi devono necessariamente essere regimati; perciò è indispensabile costruire briglie e traverse che servono a rallentare il deflusso, diminuire – per quanto possibile – parte dell’energia sviluppata dal corso d’acqua e, soprattutto, stabilizzare le sponde.
Per realizzare le opere servono naturalmente degli studi preliminari ma il mio sogno è di vedere, nei prossimi anni, oltre agli studi, anche la realizzazione delle infrastrutture, nel rispetto dell’ambiente ma con la consapevolezza che solo intervenendo nei corsi d’acqua si potrà avere il tempo di “ballare sotto la pioggia”.

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