La fretta di dimenticare, la necessità di ricordare: urgenze che si scontrano l’una nell’ottica di una fuga, l’altra per trarre dalla memoria quel che il passato ha consegnato. C’è un prima e c’è un dopo-Covid. In mezzo c’è l’esperienza della sospensione che ha generato l’incalzante desiderio di tornare alla normalità.
È su questa nostalgia del prima che si appuntano le riflessioni di un gruppo di teologi e liturgisti coordinato da Derio Olivero. Una tentazione per la Chiesa, sostengono tutti. L’ottica di lettura ha del paradossale: l’epidemia come occasione, opportunità per non tornare al prima, per guardare avanti.
La “bassa marea” del Covid ha fatto emergere i “rifiuti” della comunità ecclesiale. Parola forte che traduce la lettura chiara di un diffuso modo di vivere la fede intriso di ripetizione, di ritualità senza spirito. In tale contesto l’epidemia ha suscitato un “confronto prezioso” su ciò che papa Francesco aveva scritto intorno alla necessità non di “una Chiesa che va in chiesa, ma di una Chiesa che va a tutti”.
Enzo Biemmi paragona l’esperienza del Covid con quella della distruzione del tempio di Gerusalemme. Entrambe rappresentano l’occasione “per scorgere quel che si poteva conservare e quello che si doveva abbandonare per conservare il tutto”. E gli fa eco subito dopo Derio Olivero quando parla di un “tempo che urla e che ci chiede di cambiare”.
Lo sguardo si posa sulle modalità con cui è stata vissuta la vita di fede e comunitaria. Si ravvisano i termini di una negazione di entrambe laddove la prima si riduce a celebrazione domenicale e la seconda si vanifica per le prescrizioni sanitarie. Se l’eccezionalità del momento può giustificare il ricorso a strumenti tecnici come lo streaming, non per questo è sminuito il rischio di ridurre la celebrazione a evento demandato al sacerdote di cui i fedeli sono spettatori dal “divano con vista TV”. Anche se su questo tema Andrea Gallo invoca uno “scavo” che ne evidenzi anche gli aspetti positivi.
È lo stesso Andrea Grillo a invocare una “declericalizzazione radicale e urgente” che torni a porre al centro l’assemblea celebrante nella sua pluralità di ministeri. Mentre la figura del sacerdote è interpellata da più di un autore per dire lo “spaesamento” a fronte delle chiese vuote (ma provocatoriamente è posto in evidenza che non c’era da aspettare il Covid per accorgersene). Ivo Seghedoni parla esplicitamente di “improvvisa spogliazione”, ma come stimolo a guardare in nuova prospettiva la vita di fede. Altrove si parla di conversione.
E la comunità ecclesiale non è estranea a questa esperienza di rinnovamento. Una Chiesa “che lascia lo spazio sacro” e riflette sulla propria missionarietà, mentre si libera dal “tragico errore, quello del considerare la pratica dell’Eucaristia come se fosse tutta la religione”. Il libro si conclude con la riflessione di Ester Brunet e Antonio Scattolini sulla “Tempesta sedata” di Delacroix. Quadro che, attingendo allo spirito del fatto evangelico, mette insieme la drammaticità dell’esperienza vissuta e la riscoperta (Duilio Albarello parla di una “re-velatio”) di una guida che sostenga nella tempesta e conduca a nuove spiagge.
Non è una parentesi
di Autori vari
Effatà
16 euro
Leggimi la notizia!
|