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Venerdì 26 aprile 2024

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I richiami del coronavirus per vivere nuove relazioni

Le dodici parole di Mons. Derio Olivero da portare nella bisaccia del viaggio post-Covid

La Guida - I richiami del coronavirus  per vivere nuove relazioni

A volte le parole servono più dei fatti. Laddove i gesti si fermano, la riflessione li arricchisce in profondità. Quando il parlare sembra un articolarsi di frasi pronto a sciogliersi alla prova della vita, è da ritrovare il peso delle parole. Con questo spirito va forse accolto l’avvicendarsi di pensieri che Alberto Chiara registra parlando con Derio Olivero, vescovo di Pinerolo, ma in questo caso anche e soprattutto una delle persone che hanno vissuto drammaticamente l’impatto del coronavirus. Quanto l’esperienza della malattia sia determinante per capire le riflessioni proposte, lo dice la stessa struttura dell’intervista. Prima la descrizione della discesa nell’abisso e la risalita, poi il riflettere su questi momenti. Due passaggi inscindibili, che si richiamano e illuminano a vicenda.
Così la Quaresima, la Settimana Santa e la Pasqua di Risurrezione di Derio Olivero sono i primi sintomi, la corsa in ospedale, l’”assaggiare l’al di là” per poi ricevere in dono “un altro giro di giostra”. Quaranta giorni di ospedale: una quaresima che si conclude nella Pasqua e impone nuovi paradigmi per leggere la vita da uomo e da credente.
Fa da cerniera con la seconda parte, quella che, assunti i fatti, ne distilla gli insegnamenti, l’affermazione del Covid come occasione di nuova primavera a condizione di “cercare la strada per andare avanti dentro i problemi”.
Questa direzione è scandita su dodici parole da “portare nella bisaccia del viaggio post-Covid”. Di nuovo ecco riaffermarsi il peso delle parole, l’urgenza di ridare loro un senso per la vita di tutti. In ognuna Derio Olivero rintraccia opportunità di conversione. Individuo, la prima, suona stonata. Svela la sua incongruenza con la vita che è per essenza relazione. La stessa invocata distanziazione sociale ribadisce nel suo carattere di ossimoro la nostalgia di socialità. Per questo Olivero mette in guardia: “la pur legittima, doverosa difesa sanitaria se assolutizzata diventa una mina per la comunità. Nel periodo di distanziamento sociale, abbiamo sentito che l’altro ci mancava più dell’aria”.

Un complesso equilibrio si impone. Un equilibrio che si regge sulle altre undici parole. Si passa attraverso la fraternità, promessa mancata della modernità da rileggere con nuovi parametri, il dono, in antitesi allo scambio, la fiducia, la gentilezza, “la rivincita se la merita”, infine la cura. Parole che rivoltano l’affermazione di Sartre in “l’altro non è l’inferno”, che aprono a una relazionalità diversa perché l’esperienza della finitudine e della fragilità parla di aiuto reciproco, di attenzioni, di sguardi diversi. E Derio Olivero non si lascia sfuggire a questo punto il ritorno ai fatti, perché tutte queste parole diventino punti di riferimento per la sanità futura.
Anche per la Chiesa, dice, il Covid è un’occasione per scoprire “spazi inediti”, per l’affiorare di questioni aperte guardando a un rinnovamento. Qui come nel resto della vita profana, la riflessione, che ha indicato le coordinate, torna a lasciar spazio ai gesti e a comportamenti e consegna alle persone la responsabilità delle scelte con la certezza del credente che, dice Olivero parafrasando Pavese, “verrà la vita e avrà i suoi occhi”.

Verrà la vita e avrà i suoi occhi
di Derio Olivero
San Paolo
12 euro

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