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Giovedì 25 aprile 2024

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I numeri dei contagi sono credibili?

I dati della Protezione Civile, però, per quanto imprecisi, una funzione importante la svolgono: sono la punta dell'iceberg, è vero, ma ci danno un'idea dell'andamento

La Guida - I numeri dei contagi sono credibili?

I numeri dei contagi sono credibili?

Ormai sta diventando un rito collettivo: ogni giorno, alle 18, dalla sala stampa della Protezione Civile viene emanato il “bollettino di guerra” dei numeri del contagio aggiornati: X guariti, Y positivi, Z decessi. E da quel termometro in buona parte deriva l’umore degli italiani fino al bollettino successivo: “va male”, è il commento, oppure “va un po’ meglio, speriamo che passi in fretta”.

Da un po’ di giorni, però, le statistiche ufficiali sono sempre più bersaglio di critica. Ha iniziato Francesco Costa su Il Post, che le ha definite “un’illusione ottica”, considerato il legame stretto dei contagi rilevati con il numero di tamponi effettuati, e i diversi criteri applicati da regione a regione su coloro che devono essere sottoposti a test. Prova ne sia il fatto che il tasso di letalità (il numero di decessi rapportati al totale dei contagi rilevati) passa dal  3,5% del Veneto (la Regione che ha il massimo numero di tamponi in rapporto ai contagi) al 13% della Lombardia. Poi ad alimentare il dubbio è arrivato Andrea Crisanti, microbiologo dell’università di Padova, che punta il dito sui soggetti asintomatici, non conteggiati tra i positivi. Anche grazie ai suoi suggerimenti il Veneto ha promosso una campagna di tamponi per “capire dov’è il nemico”. La sua stima lo porta a dire che due persone su tre sono positive senza saperlo, altre hanno qualche lieve sintomo ma non fanno il tampone,  insomma in Italia al momento ci sarebbero 300.000 contagiati (5 volte quelli ufficiali). Infine persino Angelo Borrelli, il capo della Protezione Civile, colui che i dati li annuncia ogni giorno agli italiani, ha gettato la spugna in un’intervista a Repubblica: è credibile un numero di contagi reale di  600.000 casi. Che vuol dire 1 su 10 rilevati. Ma allora che senso ha ancora fornire delle statistiche? Innanzitutto sgombriamo il campo dall’ipotesi più scontata: è irrealistica l’idea di un imbroglio da parte di chi fornisce le cifre. La Protezione Civile presenta numeri che sono la somma dei dati su scala regionale, che a loro volta li aggregano su base provinciale e comunale. Impossibile barare in modo eclatante su una rete così vasta. Risulta invece evidente che sono proprio gli asintomatici non rilevati il nocciolo del problema, quegli “untori” che non vengono considerati, né conteggiati. In Corea del Sud, grazie ad un lavoro sistematico di indagine a partire da un numero elevatissimo di tamponi, sono riusciti a controllare il virus, che era partito ben prima che in Italia ma si è sostanzialmente arrestato a meno di 9.000 casi (grafico). Si potrebbe ancora fare come loro? Per come si è diffuso il contagio, appare poco attuabile: i laboratori italiani non sarebbero in grado di gestire l’enorme flusso in arrivo.  Né si può pensare di fare indagini a campione per migliorare la qualità dei dati, considerato che l’incidenza sulla popolazione è ancora bassa (1 su mille), e che il fenomeno del contagio è per lo più circoscritto a piccole aree ad alta diffusione. I dati della Protezione Civile, però, per quanto imprecisi, una funzione importante la svolgono: sono la punta dell’iceberg, è vero, ma ci danno un’idea dell’andamento. Se accellera, è stabile o rallenta. In questi momenti di incertezza, è già qualcosa.

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