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Giovedì 28 marzo 2024

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Visto con voi: il Signor Bonaventura di Latella

Il celebrato regista campano si confronta con il personaggio di Sergio Tofano ne “L’isola dei pappagalli, con Bonaventura prigioniero degli antropofagi”, fino al 16 giugno al Carignano di Torino

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Torino – Se il Signor Bonaventura – con la sua figura longilinea, la bombetta rossa, la marsina dello stesso colore e i pantaloni larghi e bianchi – è diventato un’icona della letteratura italiana per bambini, è grazie alle storie che Sergio Tofano (attore, scrittore e appunto fumettista) pubblicò su di lui dal 1917 al 1943, settimanalmente, sul leggendario “Corriere dei piccoli”.  Erano composte normalmente da otto vignette, ciascuna con una didascalia fatta di distici di ottonari in rima baciata. La prima iniziava sempre col verso “Qui comincia la sventura del signor Bonaventura”. In esse il Nostro si trovava coinvolto in situazioni fantasmagoriche, piene di imprevisti e pericoli, che immancabilmente, però, si concludevano con un lieto fine in cui egli riceveva come premio un assegno gigantesco dal valore di un milione.

Se i versi di Sto (questo lo pseudonimo usato da Tofano) riecheggiavano suggestioni eterogenee che spaziavano – com’è stato detto – “da Metastasio ai futuristi”, era l’atmosfera delle storie che rese questo personaggio indimenticabile. Un mondo, nelle parole del grande Renato Simoni, “incredibilmente credibile, dove non già l’umano diventa meraviglioso, ma il fiabesco diventa umano e l’assurdo prende un’aria borghese e familiare”. Inventato da un attore, il Signor Bonaventura finì per diventare anche un personaggio teatrale, una sorta di maschera della Commedia dell’Arte post litteram. Ad esempio ne “L’isola dei pappagalli, con Bonaventura prigioniero degli antropofagi”, commedia musicale del 1936 scritta da Tofano con Nino Rota, finisce – per una beffa del perfido Barbariccia, il suo nemico personale – in mezzo ad una tribù di surreali cannibali, ma riuscirà a ritornare a casa con il suo fedele bassotto giallo, il “bellissimo Cecé” e gli altri personaggi che lo avevano seguito anche in quest’improbabile avventura. Una pièce che al suo debutto (a Torino) vedeva Tofano nella parte di Bonaventura e Gino Cervi in quella del capitano della nave che lo conduce nell’esotica e spaventosa isola.

Cinquant’anni dopo, nel 1986, la commedia venne riallestita al Carignano di Torino dal compianto Franco Passatore (mancato a fine aprile): tra gli attori minori della produzione c’era anche l’allora 18enne Antonio Latella, che riuscì a rompersi un piede proprio in occasione della prima. Diventato ora uno dei registi di punta della scena europea, nonché direttore della Biennale Teatro di Venezia, l’artista di Castellammare di Stabia ha deciso di riconfrontarsi con quest’opera per lui così importante. Ne è uscito fuori uno spettacolo che ha debuttato il 28 maggio, ancora una volta al Carignano. Per il regista campano “L’isola dei pappagalli” rappresenta l’occasione sia per una sorta di “Amarcord” professionale, sia per una riflessione niente affatto scontata sul ruolo della fantasia e della finzione a teatro. Lo spunto è sicuramente ghiotto, viste le caratteristiche dell’opera di Tofano nel suo complesso: caratterizzata com’è da un’ossessiva e traboccante ricerca di rime sempre più ardite, segue una logica decisamente illogica, che sembra dadaista ma in realtà è semplicemente infantile. Ma quel mondo “altro” viene faticosamente evocato più che rappresentato. Nel primo atto è Bonaventura ormai vecchio, su una sedia a rotelle, forse in preda alla demenza senile, che racconta come la storia sia cominciata, mentre l’immancabile Bassotto ruba l’attenzione del pubblico e il capitano della nave (una nave che sembra non partire e che incombe sui personaggi, oblò incluso) canta su un piedistallo le marcette di Rota in una marea di riverberi, come se provenissero dal fondo della memoria e dell’inconscio.

Nel secondo atto, i tre sono catapultati nell’isola dove incontrano i cannibali del titolo i quali, a parte l’effervescente Giuiuk che salverà Bonaventura e soci dalla morte, sono vestiti di tute che hanno i colori dei pennarelli dei bambini. Visti i loro discorsi ripetitivi e irritanti, volutamente non “adulti”, in mezzo a suoni di fondo e agli interventi rock suonati dal vivo da un quartetto in platea, sembra di assistere ad una sorta di puntata sperimentale dei “Teletubbies”. Anche in quel programma tv, pensato per bimbi in età prescolare, si gioca su iterazioni e enfatizzazioni tipiche della (ir)razionalità infantile. Nel terzo atto, i nostri eroi torneranno faticosamente a casa (in Europa, viene sottolineato), ma quello che trovano è una spiaggia di manichini neri, come se fosse avvenuta un’apocalisse nucleare. Mentre Bonaventura finalmente inizia a camminare e, anzi, balla addirittura un tango con il Bassotto, gli altri personaggi appaiono vestiti in bianco con la loro versione a fumetti stampata sulla stoffa. Cantano (musica rap, gli Earth Wind & Fire, “Non ho l’età” della Cinquetti, “Vamos a la playa” e “Money” dal film “Cabaret”) e soprattutto parlano, parlano. Sempre in rima. Come se appunto fossero bambini che ridono e si comportano sguaiatamente, non stufandosi mai di dire e di fare sempre le stesse cose – ai nostri occhi – insensate e un po’ noiose. Fino alla sorprendente scoperta finale (Giuiuk non è una “selvaggia” che deve “incivilirsi”, ma la figlia perduta di uno dei personaggi), dove Bonaventura interviene come fosse il regista della stessa messinscena del suo ricordo o della sua allucinazione. Gli otto attori sono tutti molto bravi, costretti come sono ad un tour de force faticoso e impegnativo: in particolare, vanno segnalati Francesco Manetti, ovvero Bonaventura, Alessio Maria Romano, il Bassotto, e Isacco Venturini, il Capitano canterino e ballerino di tip tap), anche se non si possono dimenticare Michele Andrei, Caterina Carpio, Leonardo Lidi, Barbara Mattavelli e Marta Pizzigallo. Nel suo insieme, però, lo spettacolo – sulla carta interessantissimo – non riesce a far dimenticare la cerebralità dell’operazione: il progetto registico risulta così ingombrante da impedire al gioco misterioso del teatro, che si voleva senza dubbio esplorare, di acquisire leggerezza e/o magia. Oppure quell’inquietante visionarietà che Latella aveva ottenuto – tanto per restare in tema di personaggi “per bambini” – nel bellissimo “Pinocchio”con (il saluzzese) Christian La Rosa. “L’isola dei pappagalli, con Bonaventura prigioniero degli antropofagi” va in scena al Teatro Carignano di Torino fino al 16 giugno.

 

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