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Giovedì 25 aprile 2024

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Il racconto dell’ex deposito locomotive e del lavoro in ferrovia

Da quando è stato dismesso, nel 2014, circondato da piante e arbusti, è diventato terra di nessuno abitata dagli scoiattoli

La Guida - Il racconto dell’ex deposito locomotive e del lavoro in ferrovia
Ex deposito locomotive Cuneo

L’ex deposito visto dalla via che scende verso l’ingresso principale

Un giorno, dal suo ufficio al secondo piano di uno degli edifici che compongono il deposito FS, mio nonno aveva visto uno scoiattolo appollaiato sul pino che cresceva lì di fronte. La mattina dopo, aveva portato con sé al lavoro una macchina fotografica usa e getta e aveva scattato una foto all’animale mentre saliva su un ramo. Tornato a casa l’aveva mostrata a mio padre, che lo guardava incredulo ed entusiasta.

Il deposito locomotive era circondato dal verde e, da quando è stato dismesso nel 2014*, piante e arbusti sono avanzati fino a circondarlo completamente. Ora gli scoiattoli salgono e scendono dai pini immersi nel silenzio che avvolge la struttura.

L’edificio che ospitava gli uffici ferroviari

L’edificio che ospitava gli uffici ferroviari

Una passione che si tramanda

Negli anni delle grandi macchine a vapore, e poi dei mezzi a diesel e infine a corrente alternata, i treni erano l’espressione di una tecnologia avanzata, di un mondo che andava veloce, e molti bambini sognavano un giorno di poterli guidare.

«Io ho sempre avuto il “pallino” dei treni — racconta l’ingegner Marco Galfré, figlio di un macchinista — quando ero bambino mio papà a volte mi portava al deposito. Io stavo lì a guardare e ogni tanto andavo a curiosare nell’officina». A partire dal 1986 l’ingegner Galfrè è entrato nell’impianto non più come un appassionato ma come gestore del post vendita dei treni prodotti della Fiat ferroviaria.

L’ingegner Galfrè, che per anni ha lavorato come gestore del post vendita dei treni prodotti della Fiat ferroviaria

L’ingegner Galfrè, che per anni ha lavorato come gestore del post vendita dei treni prodotti della Fiat ferroviaria

La sua passione lo ha portato, inoltre, ad approfondire la storia dell’edificio, durata quasi cent’anni. I lavori per la costruzione sono iniziati negli anni venti, anche se il deposito è entrato in funzione solo nel 1937, in concomitanza con l’attivazione della stazione principale, detta Cuneo Altipiano. «Il fabbricato è molto vasto — spiega l’ingegner Galfrè — c’erano gli uffici, due o tre alloggi a disposizione per i capi tecnici e il capo deposito, una piccola scuola per la formazione e l’aggiornamento dei dipendenti e poi l’officina, che ancora una quindicina di anni fa è stato oggetto dell’ampliamento dei capannoni. Era un impianto all’avanguardia».

ex deposito locomotive Cuneo, vista dell'officina dall'alto

Vista dell’officina

Tranne una parentesi di interruzione dell’attività, nel secondo dopoguerra, a causa del crollo del viadotto Soleri, la struttura era il centro del traffico ferroviario della zona e dava lavoro a circa 350 persone. I dipendenti erano suddivisi in diverse categorie. Il personale di condotta, ovvero macchinisti, aiuto macchinisti e capi deposito, ammontava a 250. A loro si aggiungevano una cinquantina di operai addetti alla manutenzione e alla riparazione dei mezzi, altrettanti impiegati amministrativi e una squadra di 8 tecnici e 2 capi deposito che a turno erano reperibili in caso ci fossero incidenti nelle zone limitrofe e fosse necessario l’intervento del carro soccorso.

Nel suo periodo di maggiore attività, tra la metà degli anni cinquanta e la metà degli anni sessanta, il deposito era il fulcro di molte linee che ora sono dismesse. «C’era una tratta che portava da Cuneo a Saluzzo e ad Airasca, un’altra che collegava Moretta a Cavallermaggiore e un’altra ancora che arrivava a Mondovì», ricorda Vittorio De Marchi che su quelle linee ha lavorato come aiuto macchinista, prima di diventare macchinista e poi capo deposito titolare negli ultimi cinque anni di carriera.

Il signor Vittorio De Marchi, che per anni ha lavorato nel deposito di Cuneo, prima come aiuto macchinista, poi come macchinista e infine come capo deposito titolare

Il signor Vittorio De Marchi, che per anni ha lavorato nel deposito di Cuneo, prima come aiuto macchinista, poi come macchinista e infine come capo deposito titolare

Il signor De Marchi è entrato in ferrovia nel 1953, iniziando con una formazione al deposito di Torino e passando a Cuneo dopo alcuni anni. Tramite concorsi e abilitazioni ha poi occupato diversi ruoli all’interno della società.

«In questo lavoro bisogna sempre studiare — spiega, mentre racconta dei suoi diciotto anni come capo deposito istruttore — non è come quando si entra a far parte di una catena di montaggio e si fa sempre la stessa mansione. È una continua variazione, devi sempre tenerti aggiornato. Il nostro è un mestiere da appassionati, non solo per aspettare la fine del mese».

La graduale dismissione

 Quando mio nonno, che lavorava negli uffici amministrativi del deposito, decideva di andare al mare prendeva sempre il treno. Appena saliti sul vagone andava a salutare il macchinista, portava con sé mio padre e chiedeva al collega se poteva farlo entrare nella cabina di guida, per guardare il mondo scorrere rapido al di là del finestrino. Anche il signor De Marchi quando faceva il macchinista sulla tratta Cuneo-Genova a volte faceva sbirciare nell’abitacolo alla figlia, racconta che gli diceva «papà mi fai suonare il treno?».

«Il macchinista però doveva rimanere sempre attento e vigile — spiega il signor De Marchi — per assicurarsi che chi era alla guida del mezzo non fosse distratto e che non ci fossero state delle invasioni nella cabina c’era il vigilante, anche detto “uomo morto”. Era un meccanismo per cui, ogni 53 secondi, suonava un campanello e si doveva inserire un codice identificativo». Man mano che la tecnologia si evolveva i sistemi di controllo e le macchine stesse si perfezionavano: dai pulsanti ai monitor, dai treni a vapore alle linee a corrente alternata e poi a quelle a corrente continua.

A partire dagli anni sessanta, gradualmente, le tratte ferroviarie sono state elettrificate, e i mezzi convertiti inizialmente a corrente alternata. La corrente continua introdotta a partire dal ’70 e tutti i mezzi di trazione sono stati sostituiti. «La conversione è durata 7-8 anni — racconta De Marchi che quel periodo di transizione l’ha vissuto in prima persona — sono partiti dalla Torino-Milano e poi hanno proseguito verso Cuneo».

Contemporaneamente sono iniziati i tagli delle linee non elettrificate e a quelle il cui incasso non rispettava gli standard stabiliti dalla ferrovia. Già negli anni novanta, a causa della maggiore autonomia dei nuovi mezzi, è diminuito il numero delle macchine che andavano in deposito, gli uffici amministrativi sono stati spostati alla stazione di Cuneo Altipiano e alcune mansioni delegati all’impianto di Torino.

«Tutto si è centralizzato e automatizzato e il personale si è ridotto — ricorda il signor De Marchi — Io sono andato in pensione all’inizio del’90, allora eravamo in 250, avevamo perso 100 persone, che erano state trasferite o mandate in pensionamento anticipato».

Dopo il 2010 c’è stata un drastico taglio dei servizi e nel 2014 si è arrivati alla chiusura definitiva del deposito. Nonostante l’incendio che nel 2017 è divampato nella struttura e la natura che si è fatta spazio sui binari arrugginiti, rimangono le tracce dei tanti anni di attività: documenti di gestione del deposito, manuali di manutenzione o di uso dei rotabili, oggetti personali dei dipendenti.

Racconta un ricordo

“Barrabás arrivò in famiglia per via mare, annotò la piccola Clara con la sua delicata calligrafia. Già allora aveva l’abitudine di scrivere le cose importanti e più tardi, quando rimase muta, scriveva anche le banalità, senza sospettare che, cinquant’anni dopo, i suoi quaderni mi sarebbero serviti per riscattare la memoria del passato, e per sopravvivere al mio stesso terrore.” La casa degli spiriti, Isabel Allende Se anche voi, come Clara, avete annotato su un taccuino o semplicemente nella vostra mente alcuni episodio che riguardano il deposito FS, se anche voi siete stati portati lì da un padre o avete lavorato nella struttura, scriveteci i vostri ricordi a info@laguida.it, serviranno per riscattare la memoria del passato nell’attesa di costruire un futuro.

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