Negli ultimi anni, tutti abbiamo camminato: qualcuno spedito, altri a passo di gambero, o di anatra zoppa, uno ha corso con l’eleganza del cavallo, un altro ha saltellato come il canguro, o si è limitato a poco dignitose giravolte. Con altra metafora, qualcuno ha scalato ardue cime, un altro ha peregrinato, un terzo si è tuffato in mare o negli abissi della ricerca, un altro ha spaziato nei cieli della contemplazione. Sebastiano Carlo Vallati appartiene a questa nobile squadra: per cinque anni ha proposto ai lettori della Guida pillole di sapienza; ora le raccoglie in un libro, con il titolo “Viandanti“ che ben delinea il suo percorso culturale ed esistenziale. Nelle 288 pagine, ricche di citazioni e di aforismi, scritte in caratteri nitidi, adatti anche a presbiti e astigmatici, ci aiuta a contemplare, a riflettere, a sorridere, con uno stile piano ed elegante. Le illustrazioni di Donatella Vallati aggiungono un significativo tocco di grazia (peccato che siano così poche). Quale il contenuto? Con troppa modestia l’autore parla di “briciole” regalate per anni ai lettori, ma poi si corregge con più nutrienti metafore: “a volte pane profumato, a volte pane duro” , “a volte acqua fresca, a volte acqua che ha perso la sua freschezza, ma sa ancora dissetare”, sicuramente mai torbida. Non briciole dunque, ma alternativamente antipasto, dolce, aperitivo, dessert, o un panino per la merenda, secondo l’ispirazione dello chef. Forte è la tentazione di segnalare alcune chicche, ma conviene che sia il lettore ad assaporare in tutta autonomia. Con una scelta inconsueta, Vallati non si fa presentare da qualche firma. È dunque un viandante in solitaria? Nient’affatto: ogni capitoletto segnala i suoi compagni di viaggio, un pittore, un poeta, un filosofo, un mistico (è davvero ricca la sua biblioteca, ricchissima la riserva di film, quadri, canzoni e canzonieri). Se questa è la compagnia ufficiale, la vera compagnia però sono i lettori, “pellegrini” e “mendicanti”. Ai primi, che già sanno a quale cima o santuario vogliono arrivare, l’autore regala una poesia, uno slogan, una filastrocca, una pennellata, una canzone, che sostengano i passi, sollecitino l’andatura, dissetino nelle soste. Ma ancora più provvidenzialmente si avvicina a chi ha smarrito la strada, sta per cadere sfinito, o ha sbandato; al disorientato e al demotivato, all’apatico e al deluso, indica una bussola, suggerisce un farmaco, segnala la silenziosa presenza di Colui che predilige i viandanti ai sedentari, gli inquieti ai pigri, gli affamati ai sazi. In ogni pagina si avverte che la vita dà valore al libro; ma poi è il libro che tenta di decifrare la vita, quella “vera”, quotidiana, degli innamorati, dei padri e dei figli, del malato, dell’ospite, dell’inquieto, del tifoso. Lì si misura la tenuta dei valori, lì si sperimenta l’inconsistenza degli orpelli, la falsità del similoro, la preziosità dei gesti gratuiti e delle parole benevole. Se un filo conduttore emerge chiaramente è la positività del messaggio, nella convinzione che la meta non è irraggiungibile. Laicamente, al nonsenso dell’uomo che contraddice se stesso con guasti talora drammatici, Sebastiano Carlo offre l’antidoto di una riflessione, di un’intuizione, di un ammonimento. Religiosamente propone la solidità della fede: “Dante, per raggiungere la cosa più vicina, cioè se stesso, compì un viaggio lungo. Dai bassi dell’inferno verso le sfere celesti sino alla visione di Dio. Anche nell’età di mezzo mi comprendo solamente… in Colui che m’ha dato a me stesso”. Sarà proficua e godibile la lettura.
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